Non capisco quindi non è colpa mia

non capisco quindi non è colpa mia

Non capisco quindi non è colpa mia

Mi sono trovato a riflettere sul fatto che se non capisco non è colpa mia. Se non capisco non riesco ad attribuirmi la colpa.

È incredibile come l’automatismo del pensiero umano abbia delle App pre-installate che ci proteggono costantemente dal riconoscere cose da cambiare perché “andiamo bene così” 

In questo articolo cercheremo di scoprire come questa attitudine che spesso ci ritroviamo addosso si possa spegnere per qualche secondo e dare la svolta alla nostra personale evoluzione.

Quando non capiamo qualcosa. Quando non capiamo che cosa ci fa rimanere fermi e non concludere un progetto o un percorso. Ecco che siamo quasi istantaneamente pronti a scoprire l’errore di altri o un errore dell’ambiente in cui ci troviamo che comporta un non cambiamento o un evitamento perfetto.

La domanda più complessa è:

a cosa resistiamo quando resistiamo al cambiamento?

Anche se può sembrare che si resista al cambiamento stesso, è chiaro che al cambiamento in sé non è possibile resistere. Sempre che ci si renda conto che il cambiamento è inevitabile in quanto il semplice passare del tempo è già di per sé un cambiamento, seppur inconsapevole.

Dunque a cosa si resiste?

Modestissima opinione, ancor più modesta esperienza, credo si resista all’ignoto di un cambiamento incontrollabile. Eh sì, cambiamo e questo non è evitabile, ma possiamo controllare il cambiamento perché sia un semplice passare del tempo all’interno di uno schema, un pattern, che già conosciamo. Ecco la funzione delle app pre installate nel nostro cervello, che ci proteggono da quello che non siamo pronti ad accogliere o che non siamo consapevoli di voler accogliere.

Se ci piacciamo così come siamo, e decidiamo questo a prescindere, senza fare una riflessione reale su quello che vorremmo essere o quello che sogniamo per noi stessi, l’app pre installata non è altro che una barriera di conservazione che ci mantiene immutati nel tempo, nonostante si viva l’inevitabile mutamento determinato dal tempo stesso.

E se queste app smettono di funzionare?

Cosa accade se il nostro sistema operativo automatico decide di fermarsi per un attimo, generare un blackout che ci illumina (lo so è un controsenso per come intendiamo normalmente i blackout) ogni elemento che vorremmo cambiare di noi stessi e del nostro contesto.

È in questo momento di blackout che si rende visibile il desiderio di essere diversi da quello che siamo o da quello che crediamo di essere. 

A volte questo blackout è generato dall’incontro con qualcuno che ci mostra una condizione che non ci aspettavamo, a volte siamo noi stessi che andiamo a sbattere con la nostra consapevolezza e stranamente non la lasciamo fuori dalla porta come facciamo di solito. 

Non capisco quindi non è colpa mia, però mi fa piacere provare a pensare. Sorge dunque spontanea una domanda che ci accompagna quando già abbiamo compreso di voler essere diversi: come faccio a rendermi conto prima di questo bisogno? Evitare che si presenti quando urgente?

Ma questa domanda dovrebbe comparire prima e chiunque se la faccia si rende conto del proprio bisogno di cambiamento per tempo, ma la prima volta che questa domanda si presenta è sempre in una situazione di urgenza.

In realtà però, questa domanda ci si presenta molto prima, quello che accade però è che le nostre app pre impostate ci impediscono di ascoltarla. È necessario che queste app siano in crisi per permettere al dubbio di entrare a far parte delle nostre riflessioni. Ma allora, da dove vengono queste app, questi processi mentali che costantemente ci proteggono da ciò che ci potrebbe far bene?

Qui si torna all’architettura della nostra mente e all’educazione che riceviamo. Veniamo educati sin da piccoli a trovare scuse piuttosto che ammettere i nostri errori. Siamo disposti ad ammettere i nostri errori solo quando non sono più mascherabili ed è lì che vanno in crisi le nostre app.

come fare?

So che sto entrando in un dedalo di domande senza risposte certe, ma è necessario fare un ulteriore passaggio e cioè chiedersi il perché l’educazione che riceviamo ci porta a nascondere i nostri errori piuttosto che ammetterli. E qui la risposta risiede nella competitività alla quale veniamo preparati, contrariamente a quanto accadrebbe se fossimo educati alla condivisione e dunque a condividere i nostri errori per scoprire nuove soluzioni e nuove evoluzioni. Cambiamenti in pratica.

Siamo dunque educati a convincerci di essere perfetti così se vinciamo contro gli altri elementi del nostro contesto, questo ci esime dall’assumere responsabilità rispetto alle nostre azioni, perché siamo così e non c’è responsabilità nell’essere quello che siamo. 

Ovviamente lo dico in senso critico, certo che c’è responsabilità nell’essere quello che siamo, o meglio c’è responsabilità nell’essere quello che agiamo. Detto ciò però, se non mettiamo in dubbio le nostre azioni non abbiamo nemmeno la responsabilità di svilupparle, le prendiamo per buone, inconsapevolmente, non avendo così bisogno di assumersi le colpe.

Per concludere. Non capisco quindi non è colpa mia… oppure…

Fintanto che non ci rendiamo conto di avere la responsabilità di quello che facciamo e di dover sviluppare le nostre azioni in funzione di quello che vogliamo realmente essere nel nostro essere, non è necessario comprendere le cose che compongono la nostra vita e il nostro costesto. Cioè banalmente, ci togliamo la responsabilità di capire le cose. Se non capisco una cosa, non ho nessuna responsabilità in merito e posso agire come diavolo mi pare, pensarla come mi pare, rischiare di danneggiare gli altri senza remore e senza rendersene conto. Perché se non capisco, non è colpa mia.

E invece lo è, perché è mia responsabilità capire. Se non capisco, devo per lo meno provare a capire. Non fare nemmeno questo tentativo è senz’altro una colpa grave, soprattutto se decido di esprimermi sul tema non ancora compreso.

Quindi prima di parlare pensa. Quello che dici è tua responsabilità. 

AUTORE

Michele Battistella

Definirmi professionalmente in modo univoco è stato per me sempre complesso oltre che distante dalla mia idea di professionalità. Nel corso degli anni, della mia esperienza e formazione, cose molto diverse fra loro mi hanno permesso di costruire un core professionale basato sulla visione d’insieme, sull’individuazione delle opportunità, della possibile evoluzione. Questo si verifica sia quando lavoro in maniera individuale o collettiva, in campo sociale o tecnico. Mi piace occuparmi di progettualità nel loro insieme, dalla facilitazione per scoprire gli obiettivi fino alla realizzazione e alla valutazione. Mi piace condividere pezzi di strada in situazioni eterogenee.

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2023-07-26T12:27:46+02:00
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